martedì 30 novembre 2010

Benchmark

Che cos'e ?


Il benchmark è parametro di riferimento che in ambito economico e, in particolare, degli investimenti ha la funzione di permettere un confronto tra le performance del proprio portafoglio e l’andamento del mercato.
Il benchmark ha l’importante obiettivo di mettere a disposizione dell’investitore un utile strumento per conoscere il rischio tipico del mercato dove si vuole investire, ma anche di offrire un supporto per la valutazione dei risultati ottenuti dalla gestione di determinati titoli.
Un elemento da tenere in considerazione è il fatto che il benchmark offre tanti parametri differenti quanti sono i mercati in cui è possibile investire: naturalmente la sua si basa sulla valutazione dei dati relativi ad ogni singolo mercato.

venerdì 22 ottobre 2010

T.U.S. (Tasso Ufficiale di Sconto)

E' il tasso di riferimento per tutti i tassi del mercato, è il tasso ufficiale al quale la Banca d'Italia presta alle altre banche.

Di seguito la variazione dei TASSI ufficiali e dell'inflazione in Italia nel periodo:




Gennaio 1958 - Aprile 2009


Come si può osservare nel grafico l'andamento del TASSO e l'inflazione (Italia) nel corso degli anni hanno avuto un andamento simile.

venerdì 14 maggio 2010

Mercato monopolistico

Monopolio.
Esiste nel mercato un’unica impresa, la quale ha una grande capacità di influenzare il prezzo del bene

La Concorrenza monopolistica

Abbiamo detto che si ha concorrenza monopolistica quando in un mercato coesistono molte imprese, ciascuna delle quali però ha un certo potere di influenzare il prezzo. Ciò è dovuto al fatto che i prodotti offerti da queste imprese non sono uguali fra di loro, come in concorrenza perfetta, ma si differenziano per alcune caratteristiche, che ne fanno dei prodotti diversi agli occhi dei consumatori. Spesso queste differenze esistono veramente, ma il più delle volte sono solo il frutto di mirate campagne pubblicitarie, le quali ingenerano nei consumatori la convinzione che il prodotto offerto abbia vantaggi non riscontrabili in prodotti analoghi (si pensi ai dentifrici: sono sostanzialmente tutti uguali, ma la pubblicità tende ad esaltare le caratteristiche di ciascuno rispetto a quelle degli altri).

T.A.E.G.

IL TAEG

Il T.A.E.G. (Tasso Annuo Effettivo Globale) si pone l'obiettivo di rappresentare nel modo più completo ed esatto possibile il costo di un finanziamento. Si tratta di un tasso puramente virtuale. Non viene infatti utilizzato per calcolare le rate. Piuttosto è un indicatore, una cifra in grado di dichiarare il costo globale del prestito. Il grande vantaggio del TAEG è il suo utilizzo ai fini comparativi. Confrontando il TAEG di due mutui si acquisisce immediatamente l'idea di quale costi di più e di quanto. Nelle considerazioni sui tassi è consuetudine misurare la spesa annua in interessi. Un costo di 50 Euro su un finanziamento di 1.000 Euro rimborsato dopo un anno vuol dire pagare il 5%. Ciò corrisponde al Tasso Annuo Nominale (T.A.N.) del prestito. Nella sua semplicità questa considerazione non tiene conto di due elementi complementari e non trascurabili: 1. Il tipo di rimborso 2. Le spese dell'operazione IL TIPO DI RIMBORSO Il metodo di ammortamento usato abitualmente per mutui e prestiti (francese a rata costante) prevede che il pagamento dell'interesse non avvenga una volta sola a fine anno, ma risulti caricato su ogni rata. Con pagamenti frazionati nell'anno, il più delle volte mensili, ciò rappresenta un piccolo vantaggio per il finanziatore, che comincia ad incassare gli interessi in anticipo. Il fenomeno lascia insensibile il Tasso Nominale mentre viene recepito dal Tasso Effettivo. La differenza tra Tasso Nominale ed Effettivo si incrementa con l'aumentare del tasso e con il crescere del numero di rate annue. ESEMPIO: Consideriamo un prestito al Tasso Nominale del 5% annuo. Se il pagamento avviene semestralmente (2 rate all'anno) il Tasso Effettivo sarà pari al 5,06%. Con il pagamento mensile (12 rate annue) ammonterà al 5,12%. Invece un Tasso Nominale del 20%, regolato con pagamento mensile aumenterà fino al 21,9%, con una differenza di quasi due punti rispetto al Tasso Nominale. Nella sua volontà di rappresentare fedelmente il costo del finanziamento il T.A.E.G. disdegna il Tasso Nominale per prendere in considerazione il più autorevole Tasso Effettivo. LE SPESE DELL'OPERAZIONE Obiettivo dichiarato del TAEG è quello di ricomprendere gli effetti di tutte le spese obbligatorie ai fini di apertura e pagamento del finanziamento. Per conseguirlo si ipotizza che i costi iniziali riducano il capitale prestato e che le spese periodiche aumentino la rata. Il calcolo del TAEG viene effettuato dopo avere apportato tali correttivi ai numeri dell'operazione. ESEMPIO: un mutuo decennale di 100.000 Euro al 5% (1.061 Euro mensili) privo di spese di apertura o di gestione avrebbe un TAEG coincidente con il suo Tasso Effettivo, cioè 5,12%. Qualora invece la banca richiedesse 800 Euro di spese iniziali ciò corrisponderà in pratica a ricevere un finanziamento ridotto a 99.200 Euro (100.000 - 800). Se poi tutti i mesi dovrò pagare 3 Euro per la polizza incendio e 2 Euro di spese di incasso, sarà come sopportare una rata maggiorata di 5 Euro. Il fedele TAEG farà perciò i suoi conti considerando il capitale ristretto a 99.200 Euro ed una rata mensile maggiorata a 1.066 Euro (1.061 + 5 di spese). Risultato: TAEG = 5,41%, ovvero il tasso effettivo di un mutuo decennale di 99.200 Euro rimborsato con una rata mensile di 1.066 Euro. In pratica sarà come avere azzerato tutti i costi del finanziamento avendoli tramutati in interessi. Pertanto paragonare i TAEG corrisponde idealmente a confrontare diversi finanziamenti a spese zero.
RIBOR
Chi ha contratto mutui a tasso variabile nel secolo scorso rileverà che i riferimenti alla variabilità riguardano indici ormai in disuso nel settore dei mutui, talvolta perfino inesistenti oggi. Per molti anni ci si è agganciati al Rendistato, ovvero il rendimento dei titoli emessi dallo Stato. I mutui a privati che lo utilizzavano sono però molto vecchi e dovrebbero risultare ormai tutti estinti. Poi ha preso forma il Prime Rate ABI, ovvero il costo praticato dalle banche ai clienti migliori, rilevato dall'ABI (Associazione Bancaria Italiana), elemento tuttora reperibile. Chi ha un mutuo legato al Prime Rate soffre un po' perché si tratta di una rilevazione degli scambi tra banca e cliente ed è quindi più elevata rispetto alle transazioni tra banca e banca, come quelle assunte dall'Euribor. Vita molto migliore per chi si è trovato agganciato al TUS (Tasso Ufficiale di Sconto). Con il passaggio all'Euro il TUS ha cessato di esistere come tasso nazionale, ma è stato sostituito dal Tasso BCE (Banca Centrale Europea) che permane su livelli bassi e si dimostra sempre piuttosto pigro quando i mercati reagiscono verso l'alto. Verso la fine degli anni '90 le banche hanno cominciato ad utilizzare il Ribor. Si trattava del tasso applicato agli scambi finanziari tra le banche italiane. L'affidabilità del Ribor come riferimento ha fatto in modo che venisse mantenuto anche dopo l'avvento dell'Euro. Riguardando oggi gli scambi europei l'indice è stato ribattezzato Euribor e rappresenta attualmente il riferimento usato da quasi tutte le banche italiane per la determinazione del saggio di interesse dei mutui a tasso variabile. Chi ha stipulato un mutuo agganciato al Ribor utilizza oggi, per la determinazione del tasso, il corrispondente Euribor.
SPREAD
Nella nostra lingua lo chiameremmo scarto o margine. Ma la diffusione generale del termine inglese non lascia più alcuno spazio al vocabolo italiano. Ovunque si parla di spread (pronunciato "sprèd") e il suo significato non è da poco! Si tratta del ricarico che ogni banca decide di aggiungere al tasso di base quale proprio ricavo. Il principio è classicamente commerciale. Il commerciante (la banca) compra il prodotto (il denaro) ad un prezzo (tasso di scambio interbancario) e lo rivende alla sua clientela ricaricato di un margine di guadagno (spread). Negli scambi tra banche il denaro ha una sua quotazione, che in Europa viene definita Euribor. Quello è il tasso, rilevato giornalmente, a cui la banca può comprare valuta, o anche venderla se ne dispone in eccesso. La collocazione del denaro mediante un finanziamento al cliente dovrà perciò avvenire ad un tasso un po' più alto. Ciò consentirà di compensare le spese di gestione della struttura creditizia e della pratica nonché i rischi dell'operazione, e guadagnarci sopra qualcosa. Questo incremento è chiamato appunto "spread". Un mutuo a tasso variabile verrà perciò rimborsato ad un tasso stabilito con il criterio: Euribor + spread dove l'Euribor costituisce la componente variabile del tasso, mentre lo spread quella fissa, che resterà invariata per tutta la durata del mutuo. NOTA: rari contratti prevedono la modifica dello spread al raggiungimento di specifiche scadenze o al verificarsi di determinate condizioni. Essendo solidamente garantiti dall'ipoteca i mutui sono gravati da modesti rischi di insoluto e consentono l'applicazione di spread molto bassi. La media si attesta intorno all'1,60%. Si parte da offerte eccezionali intorno allo 0,70% per arrivare a punte del 3%, richiesto da banche che finanziano situazioni un po' più a rischio. Come potrai immaginare la scelta di applicare uno spread più o meno alto dipende esclusivamente dalla volontà della banca. Così si osservano differenze anche rilevanti tra un'offerta e l'altra. Facendo leva sui grossi importi dei mutui e sulle loro lunghe durate, gli effetti possono rivelarsi esplosivi. ESEMPIO: si consideri una differenza di spread dell'1% applicata ad un mutuo ventennale di 100.000 Euro. Con un tasso del 4% si spenderanno 45.435 Euro di interessi. Aumentando il tasso dell'1% la spesa sarà di 58.390 Euro. Una differenza di ben 13.000 Euro, ovvero il 28% in più! Anche per i mutui a tasso fisso si parla di spread. In quel caso costituisce la quota aggiuntiva applicata al parametro di riferimento IRS, in base al risultato dell'addizione: IRS (di durata pari a quella del mutuo) + spread Qui però lo spread servirà per calcolare il tasso una sola volta, il giorno della sottoscrizione del contratto di mutuo, perché in seguito il saggio di interesse non potrà più subire alcun aggiornamento.

venerdì 23 aprile 2010

Imprenditore artigiano & Impresa Artigiana


E' imprenditore artigiano colui che esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare, l'impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri ed i rischi inerenti alla sua direzione e gestione e svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo.


L'elemento caratterizzante dell'impresa artigiana è proprio l'artigiano, o meglio, l'attività che svolge l'artigiano; quest'ultimo, infatti, non deve limitarsi a gestire l'impresa ma deve intervenire personalmente "nel processo produttivo" anzi intervenire "in misura prevalente" nella produzione. Questa definizione data dalla legge è conforme con l'idea che normalmente si ha dell'artigiano, cioè di una persona che "con le sue mani" crea il prodotto, quasi un artista.


È anche vero, però, che vi possono essere imprese artigiane che si avvalgono dell'attività di dipendenti e dell'aiuto di macchine per la produzione. In questi casi può essere difficile distinguere l'imprenditore artigiano dall'imprenditore commerciale ed è per questo motivo che l'art. 4 pone dei limiti dimensionali all'impresa artigiana, ad esempio un massimo di 22 dipendenti per la produzione di serie.In merito all'attività che deve svolgere un'impresa artigiana l'art. 3 della legge 443\1985 dispone che:



attività prevalente:
svolgimento di un'attività di produzione di beni, anche semilavorati, o di prestazioni di servizi.


attività escluse:
sono escluse dall'attività dell'impresa artigiana le attività agricole e le attività di prestazione di servizi commerciali, di intermediazione nella circolazione dei beni o ausiliarie di queste ultime, di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, salvo il caso che siano solamente strumentali e accessorie all'esercizio dell'impresa artigiana.


In base alla Legge Quadro sull’artigianato 8 Agosto 1985, n. 443, è definita impresa artigiana quella che ha le dimensioni seguenti:


A) per l’impresa che non lavora in serie: un massimo di 18 dipendenti, compresi gli apprendisti in numero non superiore a 9; il numero massimo dei dipendenti può essere elevato fino a 22 a condizione che le unità aggiuntive siano apprendisti;


B) per l’impresa che lavora in serie, purché con lavorazione non del tutto automatizzata: un massimo di 9 dipendenti, compresi gli apprendisti in numero non superiore a 5; il numero massimo dei dipendenti può essere elevato fino a 12 a condizione che le unità aggiuntive siano apprendisti;


C) per l’impresa che svolge la propria attività nei settori delle lavorazioni artistiche, tradizionali e dell’abbigliamento su misura: un massimo di 32 dipendenti, compresi gli apprendisti in numero non superiore a 16; il numero massimo dei dipendenti può essere elevato fino a 40 a condizione che le unità aggiuntive siano apprendisti (i settori delle lavorazioni artistiche e tradizionali sono stati individuati con decreto del Presidente della Repubblica);


D) per l’impresa di trasporto: un massimo di 8 dipendenti;


E) per le imprese di costruzione edili: un massimo di 10 dipendenti, compresi gli apprendisti in numero non superiore a 5; il numero massimo di dipendenti può essere elevato fino a 14 a condizione che le unità aggiuntive siano apprendisti.


Riassumendo possiamo dire che l'imprenditore artigiano è colui che impiega il proprio lavoro nella produzione e non solo nella gestione dell'impresa. Quando l'impresa si avvale di macchine la produzione deve comunque avvalersi dell'intervento manuale dell'artigiano; in parole povere"non deve fare tutto la macchina"; in maniera simile a quanto detto per le macchine utilizzate per la produzione, nel caso in cui vi siano dipendenti questi non devono produrre il bene in maniera del tutto autonoma, ma devono seguire le direttive dell'artigiano. Deve trattarsi, cioè, sempre di un prodotto frutto dell'inventiva dell'artigiano.
Il mancato rispetto di queste condizioni comporterà l'equiparazione dell'impresa artigiana all'impresa commerciale,con la conseguente soggezione al fallimento.


venerdì 16 aprile 2010

Carta dei diritti dei passeggeri


1. Diritti in caso di sciopero


Hai dei diritti in caso di scioperi delle compagnie aeree. Ci sono dei periodi infatti in cui non è consentito effettuare scioperi, eccoli:

dal 18 dicembre al 7 gennaio;

dal 24 aprile al 2 maggio;

dal 27 giugno al 4 luglio;

dal 27 luglio al 5 settembre;

dal 30 ottobre al 5 novembre;

dal giovedì precedente al giovedì successivo alla Pasqua;

dal terzo giorno precedente al terzo giorno che segue le consultazioni elettorali nazionali, europee e regionali, le consultazioni referendarie nazionali;

dal giorno precedente al giorno successivo alle elezioni politiche suppletive o alle elezioni regionali ed amministrative parziali per le sole aree interessate


2. Se il tuo volo ritarda, hai diritto alle seguenti forme di risarcimento:


ritardo oltre le 5 ore => Puoi scegliere tra: 1)Rimborso della parte non goduta del biglietto e rientro, appena possibile, al luogo di partenza; 2)Imbarco sul primo volo disponibile per la stessa destinazione, in condizioni comparabili; 3)Imbarco su altro volo in data per te conveniente.


se la partenza e rinviata al giorno successivo => Alloggio in albergo a spese della compagnia.


3. Se il tuo bagaglio registrato (cioè consegnato al momento del check-in) viene distrutto, danneggiato, smarrito, o ti viene recapitato in ritardo...


hai diritto ad un risarcimento fino a 1000 DSP (= Diritti Speciali di Prelievo, un'unità di misura che varia con la fluttuazione dell'euro, e che corrisponde più o meno ad 1 euro), a meno che il danno non sia stato causato da te o da un difetto del bagaglio.


Se hai dichiarato il valore massimo del tuo bagaglio e hai pagato il supplemento corrispondente, sarai sicuro di avere, in caso di danni sul bagaglio, un rimborso pari al valore effettivo del bagaglio.


Ricordati che per ottenere il risarcimento devi presentare il reclamo alla compagnia aerea non appena ti viene consegnato il bagaglio danneggiato o entro sette giorni dal ricevimento del bagaglio. In caso di ritardo nella consegna del bagaglio hai tempo 21 giorni per la richiesta del risarcimento dal momento in cui ricevi il bagaglio.


4. In caso di negato imbarco per overbooking su un volo che parte o arriva in un aeroporto dell'Unione Europea...


Se ti sei presentato all'imbarco entro 45 minuti dalla partenza con una prenotazione confermata e ti viene negato l'accesso per overbooking puoi scegliere di rinunciare volontariamente al volo in cambio di benefit che concorderai con la compagnia aerea, e scegliere tra:


1)Rimborso della parte non goduta del biglietto e rientro appena possibile al luogo di partenza;

2)Rimborso della parte non goduta del biglietto e rientro appena possibile al luogo di partenza;

3) imbarco su altro volo in data per te conveniente.


In questo caso però non potrai chiedere il risarcimento di danni ulteriori derivanti dall'overbooking.

Se il numero delle persone che rinunciano volontariamente al volo non è sufficiente, la compagnia aerea può negare l'imbarco. In questo caso, qualora non venissi imbarcato avresti diritto a:

a. ricevere un risarcimento in denaro, proporzionale alla lunghezza della tratta:(Il risarcimento ti deve essere dato in contanti dalla stessa Compagnia Aerea, o con accredito su conto corrente, entro sette giorni. Puoi decidere se usufruire del risarcimento sotto forma di buoni viaggio o altri servizi, anziché in contanti.)

venerdì 12 marzo 2010

L'Azienda e La Ditta

Art 2555→L’ azienda è il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.
Impresa e azienda non sono sinonimi perché il concetto di impresa si riferisce all’attività svolta dell’imprenditore e quindi si muove su un piano soggettivo,il concetto di azienda fa riferimento agli strumenti utilizzati dell’imprenditore per svolgere la sua attività e quindi si muove su un piano oggettivo. Ecco il motivo per il quale si parla di funzionalità dell’azienda.
Azienda è dunque il mezzo che permette all’imprenditore di svolgere l’attività d’impresa ma non conta il titolo giuridico in base al quale ogni singolo bene fa parte dell’azienda,ne conta il titolo giuridico in base al quale l’imprenditore usa i beni della stessa.
L’azienda è altresì caratterizzata dal c.d. avviamento:ossia il maggior valore che l’azienda ha rispetto alla soma dei valori dei singoli beni che la compongono.
Questo plusvalore deriva dal fatto che i beni sono tra loro organizzati e coordinati dall’imprenditore per conseguire il profitto. Quindi l’avviamento può indicarsi anche come la



capacità dell’impresa a produrre reddito.


Ditta


(Art. 2563):è il nome sotto il quale l’imprenditore svolge la sua attività. Essa rappresenta un

mezzo di individuazione necessario dell’impresa:come ogni persona ha un nome così ogni impresa



ha una ditta. Il diritto all’uso della ditta si perde attraverso la cessazione dell’uso

La ditta caratterizza solo le imprese individuali,mentre le imprese collettive hanno al posto della ditta la ragione sociale(società persone)o denominazione sociale(società capitali);in essa deve essere indicato il vincolo societario(art 2567).

Nella creazione della ditta l’imprenditore deve rispettare 3 principi fondamentali:
- verità
- novità.
- liceità ossia la ditta deve essere conforme alle norme imperative al buon costume e all’ordine pubblico

Verità:la ditta deve rendere possibile l’individuazione dell’imprenditore;per questo è stabilito che i qualunque modo si sia formata,la ditta deve contenere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore medesimo. A questa parte necessaria della ditta l’imprenditore può anche aggiungere una denominazione di fantasia o l’indicazione dell’attività svolta. Rientra sempre nel principio di verità della ditta il fatto che essa non deve essere decettiva:ossia non deve trarre in inganno il pubblico dei consumatori.

Novità:la ditta deve essere nuova cioè idonea a differenziare una data impresa da altre aventi il medesimo oggetto e che operano nella stessa parte del territorio nazionale. L’imprenditore quindi non può adottare una ditta simile o uguale a quella di un’altra impresa,o comunque non può essere tale da creare confusione con essa.
Conseguentemente se la ditta è uguale,o simile ad un’altra e può creare confusione per l’oggetto dell’impresa o per il luogo in cui questa è esercitata,essa deve essere integrata o modificata con indicazioni idonee a differenziarla(art 2564).
L’obbligo di differenziazione incombe sull’imprenditore che per secondo ha adottato la ditta che genera confusione→principio della priorità dell’uso
Per le imprese commerciali l’obbligo incombe su chi per secondo ha registrato la propria ditta nel registro imprese,tuttavia se questi riesce a provare di avere usato per primo la ditta e che di tale uso i terzi ne erano a conoscenza,è l’altro imprenditore che deve provvedere alla differenziazione.

ImPrEnDiToRe AgRiCoLo

Il legislatore ha previsto una particolare disciplina per tale imprenditore in quanto ha tenuto conto della particolare natura delle attività agricole che sono esposte al rischio ambientale.

Art.2135→E’ imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività:coltivazione del fondo,silvicoltura,allevamento di animali e attività connesse…………

Dall’articolo si evince che l’imprenditore agricolo svolge delle attività principali e delle attività connesse.
Le attività principali sono descritte nel secondo comma e sono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso,di carattere vegetale o animale,che utilizzano o possono utilizzare il fondo,il bosco o le acque dolci.
Le attività connesse sono descritte nel terzo comma e in particolare vengono distinte in due gruppi:

1)le attività dirette alla manipolazione ,conservazione,trasformazione,commercializzazione e valorizzazione del fondo,che hanno ad oggetto prodotti provenienti in maniera prevalente dal fondo e che sono esercitate dal medesimo imprenditore agricolo
2)le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente delle risorse e delle attrezzature normalmente impiegate nelle attività agricole esercitate.
L’articolo in questione non ha sempre avuto tale espressione infatti esso è espressione della legge 228/2001.Prima di tale legge si parlava in primis anziché di allevamento di animali di allevamento di bestiame e le attività principali erano solo quelle che avevano un legame diretto col fondo e il terzo comma riguardante le attività connesse non esisteva. Erano infatti considerate tali solo le attività dirette alla trasformazione o all’alienazione dei prodotti agricoli quando rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura

Statuto dell’imprenditore agricolo:
- iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese.
- non è obbligato alla tenuta delle scritture contabili,la loro tenuta è rimessa alla volontà dell’imprenditore.
- non è soggetto né alle procedure concorsuali né al fallimento

Piccolo imprenditore:art 2083→Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo,gli artigiani,i piccoli commercianti e coloro che esercitano un attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia.
E’ ai sensi dell’art.1647 coltivatore diretto colui che coltiva il fondo con il lavoro prevalentemente proprio o di persone della sua famiglia. E’ piccolo commerciante colui che svolge una attività di intermediazione nella circolazione dei beni e servizi
In base a tale articolo si possono ricomprendere nella categoria dei piccoli imprenditori oltre alle figure espressamente menzionate(categorie speciali)anche altre figure(categoria generale) purché organizzino la loro attività con il lavoro prevalentemente proprio e dei loro famigliari.
Requisito comune,dunque a tutti i piccoli imprenditori è la prevalenza del lavoro proprio e della famiglia rispetto sia al lavoro dei dipendenti,sia al capitale impiegato.
Pertanto è considerato piccolo imprenditore anche chi esercita una attività commerciale con il lavoro proprio e coadiuvato da familiari e da un numero ristretto di dipendenti e/o con un basso investimento di capitale.
Nella legge fallimentare è contenuta una definizione di tipo quantitativo del piccolo imprenditore e in particolare secondo tale legge è piccolo imprenditore chi ha investito un capitale di un valore inferiore a 300.000,00 euro e ha realizzato ricavi lordi minori di 200.000,00 euro.

Statuto del piccolo imprenditore:
- iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese.
- non è obbligato alla tenuta delle scritture contabili,la loro tenuta è rimessa alla volontà dell’imprenditore.
- non è soggetto né alle procedure concorsuali né al fallimento

ImPrEnDiToRe CoMmErCiAlE

L’imprenditore commerciale è la figura più importante della realtà economica disciplinata attraverso una statuto. A norma dell’art.2195 sono imprenditori commerciali coloro che esercitano:

1. un’attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi
2. un attività di intermediazione nella circolazione di beni(commerciante in senso stretto)
3. un’attività di trasporto per terra ,per acqua o per aria
4. un’attività bancaria o assicurativa
5. altre attività ausiliarie alle precedenti(es agenti di commercio,mediatori ecc..)

A ben vedere però l’art 2195 non fornisce alcuna nozione precisa di imprenditore commerciale, le attività indicate nei commi 3,4 e 5 rientrano in quelle genericamente indicate nei commi 1 e 2. Queste ultime a loro volta riproducono sostanzialmente la stessa definizione contenuta nell’art.2082 con la sola specificazione che l’attività di produzione deve essere industriale. In definitiva poiché l’art.2135 offre una definizione precisa dell’imprenditore agricolo ne deriva che per stabilire la natura di una impresa occorrerà prima accertare se chi la esercita è o meno imprenditore agricolo e poi in caso di esito negativo si definisce l’impresa come commerciale

Statuto dell’imprenditore commerciale: in primis per statuto dell’imprenditore commerciale si intende il complesso di norme e di obblighi che gravano sulla sua attività. Le norme dello statuto sono dettate in tema di:

- capacità di agire
- iscrizione nel registro delle imprese
- scritture contabili obbligatorie
- assoggettamento alle procedure concorsuali e al fallimento

Capacità di agire:per esercitare una impresa commerciale occorre avere la capacità di agire in quanto l’esercizio dell’attività comporta per sua natura la conclusione di contratti. Ne consegue che se un incapace di agire esercita un impresa commerciale egli non assumerebbe la veste di imprenditore commerciale e gli atti da lui compiuti sono annullabili. Il legislatore però per facilitare in alcuni casi l’esercizio dell’attività commerciale da parte dell’incapace ha previsto una particolare disciplina:
1)il minore,l’interdetto e l’inabilitato possono continuare l’esercizio di un’impresa commerciale,previa autorizzazione del tribunale,su parere del giudice tutelare(ascoltato anche il pro-tutore nel caso del minore),al fine di consentire all’incapace di beneficiare degli utili derivanti dalla continuazione dell’impresa ricevuta. In particolare nel caso del minore e dell’interdetto l’esercizio spetterà al legale rappresentante. Nel caso dell’inabilitato c’è da dire che la decisione se continuare o meno spetta allo stesso e dopo dovrà essere chiesta autorizzazione al tribunale. Una volta ottenuta l’autorizzazione l’esercizio dell’attività spetterà a quest’ultimo con l’assistenza del curatore. A volte l’autorizzazione può essere subordinata alla nomina di un institore ossia un rappresentante dell’inabilitato che viene posto a capo dell’impresa.
È tuttavia sempre l’incapace autorizzato a continuare che sarà soggetto allo statuto dell’imprenditore commerciale.2)il minore emancipato può invece essere autorizzato dal tribunale,previo parere del giudice tutelare, sia ad iniziare che a continuare l’attività commerciale anche senza l’autorizzazione del curatore. In tal caso egli acquista la piena capacità di agire potendo compiere qualsiasi atto sia o meno riguardante l’impresa

Iscrizione nel registro delle imprese:il registro imprese è previsto dal codice civile nell’art 2188. La sua attuazione però si ha solo nel 93’ con la legge 580. Fino al 93 la pubblicità si realizzava nelle cancellerie commerciali istituite presso il Tribunale. Oggi alla tenuta del registro imprese è preposto un apposito ufficio presso la Camera di Commercio istituite presso ogni città.
Con la legge 580/93 diviene obbligatoria per tutti gli imprenditori l’iscrizione nel registro imprese ,in particolare l’imprenditore commerciale deve iscriversi nella sezione ordinaria,gli artigiani,i piccoli imprenditori l’imprenditore agricolo,la ss.,le società tra avvocati e l’imprenditore sociale devono iscriversi nella sezione speciale.
L’iscrizione nella sezione speciale implica effetti limitati rispetto all’iscrizione nella sezione ordinaria nel senso che nella sezione speciale:
l’iscrizione ha funzione di pubblicità notizia e certificazione anagrafica
l’inadempimento dell’obbligo di iscrizione causa sì sanzioni pecuniarie o penali ma non incide sulla validità e sull’opponibilità ai terzi del fatto che ne costituisce oggetto.
L’iscrizione nella sezione ordinaria implica gli effetti previsti dal codice civile nell’art 2193 e può avere una duplice funzione:
· dichiarativa:ha lo specifico scopo di rendere opponibile ai terzi il fatto giuridico pubblicizzato;in sua mancanza l’atto resta valido tra le parti ma diviene inopponibile a terzi.
· costitutiva:si ha quando la pubblicità è un requisito necessario per la costituzione dell’impresa. La mancata iscrizione in tal caso implica la non esistenza dell’impresa.

Scritture contabili obbligatorie(art 2214 e ss)lo statuto implica l’obbligo di tenere la contabilità,in particolare ogni imprenditore commerciale deve obbligatoriamente tenere:
· libro giornale→in esso vanno annotate tutte le operazioni nell’ordine in cui sono compiute,secondo i criteri di cronologicità e di immediatezza(iscritto nel momento in cui è stato compiuto)
· libro degli inventari→in cui va redatto l’inventario all’inizio dell’attività e poi ogni anno. Esso elenca e valuta le passività e le attività dell’impresa,nonché le attività e le passività dell’imprenditore(valido solo per l’imprenditore individuale). Esso si chiude col bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite che è un C.E. indicante le fonti dei ricavi e delle spese pertinenti ad ogni esercizio.
Accanto a queste scritture,la legge prescrive poi la tenuta di altri libri e registri a seconda:
1. della natura dell’impresa(es società bancarie e assicurative)
2. per la dimensione dell’impresa:(es libro magazzino,libro mastro)
I libri contabili devono esser conservati,anche su supporti magnetici,per 10 anni e per lo stesso periodo di tempo è imposta all’imprenditore la conservazione di tutta la corrispondenza(fascicolo della corrispondenza),dei contratti e delle fatture.
Tutte la scritture contabili sono poi a loro volta soggette a delle formalità:
· formalità estrinseche:devono avere forme esteriori rispondenti ad un esigenza di controllo dall’esterno:i libri prima di esser messi in uso devono essere numerati progressivamente in ogni pagina e se previsto devono essere bollati e vidimati(libro giornale e degli inventari non sono soggetti a bollatura).
· formalità intrinseche→riguardanti il modo in cui vengono tenute le scritture:il legislatore si è limitato a dettare delle linee di massima,prescrivendo che le scritture devono essere tenute secondo le norme di una ordinata contabilità,senza spazi in bianco,senza interlinee e trasporti in margine. Non si possono fare abrasioni e qualche eventuale cancellazione deve eseguirsi in modo tale che le parole cancellate si leggano.
Per quanto concerne alle finalità delle scritture contabili esse in primis hanno una finalità interna ossia servono all’imprenditore per conoscere l’andamento dell’impresa. In secondo luogo hanno un finalità esterna ossia possono essere usate come prova.
Quanto all’efficacia probatoria delle scritture contabili deve ricordarsi che esse:
· Fanno sempre prova contro l’imprenditore,cioè possono sempre esser utilizzate dai terzi come mezzo processuale di prova contro l’imprenditore che le tiene. Chi vuole trarne vantaggio,però non può scinderne il contenuto ed avvalersi solo della parte a lui favorevole:la documentazione contabile deve cioè essere valutata nella sua globalità.(art 2709)
· Non costituiscono prova a favore dell’imprenditore nei rapporti con i non imprenditori e con gli utenti dell’impresa;ad esse può esser attribuito soltanto il carattere e de il valore di elementi indizianti,che devono essere valutati insieme con altri elementi ai sensi degli artt.2727 e seguenti.
· Possono costituire prova a favore dell’imprenditore soltanto nei rapporti fra imprenditori inerenti all’esercizio dell’impresa. Condizione per l’utilizzazione delle scritture contabili come prova è che siano tenute regolarmente,deve cioè trattarsi di libri bollati, vidimati e numerati progressivamente,che siano rispettate le formalità intrinseche. In ogni caso il riconoscimento del valore probatorio spetta al giudice.(art 2710)

venerdì 5 febbraio 2010

La risoluzione del contratto

Con il termine risoluzione si indica lo scioglimento del vincolo contrattuale per fatti che si siano verificati successivamente alla conclusione del contratto. Si determina una alterazione della causa del contratto (es. lo scambio in cui questa consiste non può più compiersi) e si parla di difetto funzionale che si manifesta in sede di esecuzione del contratto e investe il rapporto contrattuale comportando la risoluzione del contratto (a differenza del difetto genetico, che è la mancanza originaria della causa o la sua illiceità che investe il contratto e comporta nullità, annullamento o dichiarazione di inefficacia).

Descrizione:

Con il termine risoluzione si indica lo scioglimento del vincolo contrattuale per fatti che si siano verificati successivamente alla conclusione del contratto.
Si determina una alterazione della causa del contratto (es. lo scambio in cui questa consiste non può più compiersi) e si parla di difetto funzionale che si manifesta in sede di esecuzione del contratto e investe il rapporto contrattuale comportando la risoluzione del contratto (a differenza del difetto genetico, che è la mancanza originaria della causa o la sua illiceità che investe il contratto e comporta nullità, annullamento o dichiarazione di inefficacia).

Nella risoluzione il contratto è e resta valido; si scioglie il rapporto contrattuale con effetto retroattivo tra le parti, ossia dalla data del contratto. rispetto ai terzi, invece, l’effetto retroattivo non si produce.

La risoluzione del contratto può essere determinata da:
- inadempimento;
- impossibilità sopravvenuta della prestazione;
- eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione.

Risoluzione per inadempimento. Come già detto, l’inadempimento è costituito dalla mancata esecuzione di una obbligazione, oppure da una esecuzione inesatta, tardiva o parziale. L’inadempimento di una parte, però, per permettere la risoluzione del contratto, deve essere di non scarsa importanza: occorre, cioè, che l’inadempimento di una parte sia tale da rendere non più giustificata la controprestazione dell’altra.
La risoluzione per inadempimento può assumere due forme:

1.risoluzione giudiziale: pronunciata dal giudice per mezzo di una sentenza che accerta l’esistenza di un inadempimento di non scarsa importanza. Se una delle parti di un contratto a prestazioni corrispettive non adempie la propria obbligazione, l’altra parte può

a) agire in giudizio per l’adempimento, chiedendo al giudice di condannare l’inadempiente ad eseguire la prestazione mancata (e offrendosi di eseguire la propria se non ancora l’ha eseguita). Finché non ha ottenuto )in modo spontaneo o coattivo) la controprestazione dovutagli, potrà sempre domandare la risoluzione del contratto;

b) agire per la risoluzione, chiedendo al giudice di sciogliere il contratto, ottenendo dall’essere esonerato ad eseguire la propria prestazione, o se l’aveva già eseguita chiederà al giudice di pronunciare, oltre alla risoluzione del contratto, anche la condanna dell’altra parte alla restituzione della prestazione ricevuta. Una volta chiesta la risoluzione, non potrà, però, più chiedere l’adempimento, né la contro parte potrà più adempiere la propria obbligazione.

2. risoluzione stragiudiziale: senza il ricorso al giudice che accetti l’effettiva sussistenza dell’inadempimento e la sua non scarsa importanza. Il contratto può essere risolto per inadempimento senza necessità di un provvedimento giudiziario, attraverso tre situazioni:

a) la diffida ad adempiere: è l’intimazione scritta compiuta dalla parte adempiente, con l’assegnazione di un termine (di almeno 15 giorni) entro cui l’inadempiente deve eseguire la propria prestazione. Trascorso tale termine, il contratto si intende risolto di diritto, senza la necessità di rivolgersi al giudice;

b) la clausola risolutiva espressa, è una clausola che le parti possono, se sono d’accordo, includere nel contratto che stipulano, con la quale le parti pattuiscono che se una di esse non eseguirà una delle obbligazioni del contratto, questo si risolverà di diritto. Per applicarla è però necessario che la parte adempiente dichiari all’altra che intende valersi della clausola risolutiva; sarà, perciò, questa dichiarazione a provocare la risoluzione del contratto che avrà effetto dalla data dello stesso;

c) il termine essenziale: è il caso in cui il contratto prevede un termine per l’adempimento, scaduto il quale il contratto è risolto di diritto, se la parte interessata, entro 3 giorni dalla scadenza del termine,non comunica alla controparte che intende ugualmente esigere la prestazione, anche se tardiva.

Però, chi ricorre alla risoluzione stragiudiziale lo fa a proprio rischio, in quanto l’altra parte potrà successivamente agire in giudizio e dimostrare che il lamentato inadempimento non sussisteva o era di scarsa importanza (salvo che non si tratti di clausola risolutiva espressa) con la conseguenza che il giudice dichiarerà inefficacie la risoluzione stragiudiziale del contratto e la parte che se ne era avvalsa verrà a trovarsi nella condizione di parte inadempiente e dovrà risarcire il danno.

sabato 30 gennaio 2010

Deposito alberghiero e Deposito


DEPOSITO ALBERGHIERO

Una particolare disciplina è dettata dal codice civile per il deposito alberghiero (artt. 1783-1786 c.c.).

La responsabilità dell’albergatore è graduata a seconda che la cosa danneggiata sia stata solamente portata in albergo ovvero sia stata consegnata in deposito all’albergatore.
Nella prima ipotesi non esiste un contratto di deposito.

In questo caso la responsabilità dell’albergatore è fissata entro un limite massimo (sino all’equivalente di cento volte il prezzo di locazione dell’alloggio per giornata), a meno che la perdita o il deterioramento della cosa non dipenda da colpa, sua o di un dipendente, o l’albergatore abbia rifiutato di prendere in custodia cose che aveva l’obbligo di accettare (danaro contante, oggetti di valore).

L’albergatore, però, è esonerato dalle conseguenze della responsabilità se prova che la perdita o il deterioramento della cosa sono dovuti a colpa grave del cliente o di chi lo accompagna. Nella seconda ipotesi, invece, le parti stipulano un vero e proprio contratto di deposito del tutto autonomo, sebbene collegato a quello alberghiero.

Pertanto, in questo caso, l’albergatore risponde secondo gli ordinari principi in materia di inadempimento contrattuale.
Parimenti si ha contratto di deposito, accessorio a quello alberghiero, nel caso in cui il cliente utilizzi il garage dell’albergo. Oggetto del deposito è non solo il veicolo ma anche le cose a questo funzionalmente collegate come gli optionals o l’autoradio.



DEPOSITO

Il deposito è quel contratto con il quale una parte (depositario) riceve dall’altra (depositante)una cosa mobile con l’obbligo di custodirla in natura (art. 1766 c.c.).

Si tratta di un contratto reale ad effetti obbligatori a forma libera e ad esecuzione continuata, avente ad oggetto la custodia di una cosa mobile.

La causa del deposito consiste nell’assicurare la custodia della cosa; al depositario non passa la proprietà né il possesso di essa: egli la detiene soltanto, nell’interesse del depositante, e non può disporne né servirsene senza il consenso del depositante (art. 1770 c.c.).

Il depositario è obbligato ad usare, nella custodia, la diligenza del buon padre di famiglia; ma, se il deposito è gratuito, un’eventuale responsabilità per colpa è valutata con minor rigore (art. 1768 c.c.).

La cosa va restituita al depositante, unitamente ai frutti percepiti dal depositario (art. 1775 c.c.), nel luogo dove doveva essere custodita. e spese per la restituzione sono a carico del depositante (art. 1774).

Se la detenzione della cosa è tolta al depositario in conseguenza di un fatto non imputabile, egli è liberato dall’obbligo di restituzione, ma deve, pena il risarcimento del danno, denunziare immediatamente al depositante il fatto per cui ha perduto la detenzione (Cass. 8541/91). Se, invece, il fatto è imputabile il depositario deve risarcire il danno (Cass. 3145/90).

Contratto preliminare ( o compromesso )


Il contratto preliminare (anche detto, impropriamente, compromesso), è l'accordo con il quale le parti si obbligano reciprocamente alla stipula di un successivo contratto definitivo.

Con il contratto preliminare, in sostanza, non si trasferisce la titolarità di un bene, ma ci si obbliga a tale trasferimento in un secondo momento (ad es. perché si vogliono verificare la persistenza dell'interesse alla transazione, la sussistenza di determinati vizi, o perché ci si vuole riservare la possibilità di apportare modifiche).

Il preliminare deve contenere già in sé gli elementi essenziali del successivo contratto definitivo.


Ove una delle due parti si rifiuti di stipulare il successivo contratto definitivo, l'altra parte potrà ottenere una sentenza (costitutiva) che produca gli stessi effetti del contratto preliminare.


La legge prevede che il preliminare debba avere la stessa forma prescritta per il contratto definitivo (art. 1351 c.c.), pertanto se si vuole vendere un immobile, il relativo compromesso dovrà essere redatto in forma scritta, a pena di nullità.


La legge 28.2.1997, n. 30, ha introdotto la possibilità della trascrizione presso la Conservatoria dei registri immobiliari del contratto preliminare che ha ad oggetto:
1) la promessa di trasferimento della proprietà di beni immobili;
2) la costituzione, il trasferimento, la modificazione di diritti reali immobiliari;
3) la costituzione di comunione su beni immobili;
4) la costituzione o modifica di servitù prediali, uso, abitazione.


Ciò a condizione che il preliminare risulti da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente. La trascrizione è resa possibile anche per gli atti soggetti a condizione e per quelli relativi ad edifici da costruire o in corso di costruzione.


Gli effetti cessano, e si considerano come mai prodotti, se entro un anno dalla data convenuta tra le parti per la conclusione del contratto definitivo, e in ogni caso entro tre anni, non sia eseguita la trascrizione del contratto definitivo. La trascrizione è cancellabile nel caso di comune accordo delle parti o se stabilito giudizialmente con sentenza passata in giudicato.


venerdì 29 gennaio 2010

La forma del contratto

La forma del contratto è la modalità attraverso la quale la volontà dei
contraenti si manifesta. Essa è, pertanto, elemento di perfezionamento del
contratto, perché rende esteriormente visibile la volontà dei soggetti,
rendendola idonea ad assumere rilevanza giuridica.


La forma dei contratti può essere libera o solenne
La peculiarità del contratto di servizio che:
- vede come parte una Amministrazione pubblica;
- regola un servizio destinato ad una universalità di soggetti,
rende opportuno, dove non obbligator io per legge, l’utilizzo di una forma
solenne. In particolare, nei contratti in cui sia richiesta dalla legge la forma
solenne, la sua mancanza può, come accennato, dar luogo alla nullità del
contrat to stesso.


La forma solenne può assumere essenzialmente due vesti:


1. L'atto pubblico è “ il documento redatto, con le richieste formalità, da un
notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli fede nel
luogo in cui l’atto è formato” (ar t . 2699 C.C) . “Esso fa piena prova, fino a
querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale
che l’ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti
che il pubblico ufficiale attesta essere avvenut i in sua presenza o da lui
compiuti” (ar t . 2700 C.C.) .


2. La scritura privata va intesa come il documento scritto con qualsiasi
mezzo (penna, dattilografia, stampa) e sottoscrit to dai contraenti. La sua
sottoscrizione ne rappresenta il connotato essenziale, perché costituisce
il mezzo di identificazione e, al tempo stesso, un indizio del carattere
serio e definitivo della dichiarazione. Essa deve essere effet tuata
personalmente dal dichiarante, con l’indicazione del nome e cognome, o
anche del cognome o dello pseudonimo. Per il principio della cosiddetta
conversione formale, l’atto pubblico, privo di qualche suo requisito, vale
come scrittura privata, ove sia sottoscritta dalla parte (confronta ar t .
2701 C.C.) .

sabato 16 gennaio 2010

La mora e lucro cessante

Mora del debitore

Art. 1218 - Responsabilità del debitore
Il debitore che non esegue esattamente (1307, 1453) la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno (2740), se non prova (1673, 1681, 1693, 1784, 1787, 1805-2, 1821) che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (1256; att. 160).


Art. 1219 - Costituzione in mora
Il debitore è costituito in mora mediante intimazione o richiesta fatta per iscritto (1308; att. 160). Non è necessaria la costituzione in mora: 1) quando il debito deriva da fatto illecito (2043 e seguenti); 2) quando il debitore ha dichiarato per iscritto di non volere eseguire l'obbligazione; 3) quando è scaduto il termine, se la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore (1183-1). Se il termine scade dopo la morte del debitore, gli eredi non sono costituiti in mora che mediante intimazione o richiesta fatta per iscritto, e decorsi otto giorni dall'intimazione o dalla richiesta.

Art. 1221 - Effetti della mora sul rischio
Il debitore che è in mora non è liberato per la sopravvenuta impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, se non prova che l'oggetto della prestazione sarebbe ugualmente perito presso il creditore. In qualunque modo sia perita o smarrita una cosa illecitamente sottratta, la perdita di essa non libera chi l'ha sottratta dall'obbligo di restituirne il valore.

Art. 1223 - Risarcimento del danno
Il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta (1382, 1479, 2056 e seguenti).

Danno emergente & Lucro cessante

Il danno emergente è la conseguenza diretta dell'eventuale illecito/inadempimento (ad. es.somme spese per le cure di lesioni derivanti da un incidente stradale). Il lucro cessante è il mancato guadagno conseguente all'illecito/inadempimento( per rimanere nel caso precedente, il mancato guadagno lavorativo derivante dalla forzata inattività in seguito alle lesioni riportate nell'incidente)



venerdì 8 gennaio 2010

Il contratto 1 parte

Nozione autonomia privata => nel diritto privato il concetto di autonomia individua il potere riconosciuto ad un soggetto col quale questo soggetto può definire da se delle regole in base a una sua propria libera scelta.
Esempi di autonomia sono :
1) il matrimonio
2) il testamento
3) il contratto => posso decidere se fare o non fare il contratto, posso scegliere che tipo di contratto (es, compro una casa oppure l’affitto), posso scegliere con chi fare il contratto, nessuna legge potrà mai costringermi a fare un contratto.

Che cosa è un contratto?
il contratto è l'accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale

Contratto conclusi al di fuori dei locali del negozio

Il nuovo codice del consumo (clicca qui) regola, agli articoli dal 45 al 68, i contratti conclusi al di fuori degli esercizi commerciali (o per strada o in alberghi o su autobus) e i contratti stipulati a distanza. Le normative sono molto simili, ma con delle distinzioni. Sono comunque contratti particolari per i quali vale il diritto di recesso entro 10 giorni lavorativi, previsto a garanzia dei soli consumatori privati (acquisti senza partita iva), che si differenziano da quelli conclusi recandosi in un negozio ad acquistare un capo d'abbigliamento o firmando nella sede di una scuola per frequentare un corso d'inglese. E' per questo motivo che molte societa' attrezzano lussuose sedi in cui portare i potenziali clienti. Spesso il consumatore incantato dallo sfarzo, pone poca attenzione a cio' che firma e il recesso non si puo' esercitare.In questa scheda spieghiamo i contratti negoziati fuori dai locali commerciali del venditore, tra cui sono comprese le vendite a domicilio, per strada, nell'ambito di fiere o durante escursioni organizzate dal venditore.

Il diritto di recesso (o di “ripensamento”)

Per le vendite avvenute fuori dai locali commerciali, si puo' recedere senza penalita' e senza darne alcuna giustificazione, inviando al venditore una lettera raccomandata a/r entro dieci giorni lavorativi dalla data di sottoscrizione del contratto.

Da quando decorrono i 10 giorni?

Se l'acquisto e' avvenuto senza la presenza del venditore (ad esempio per posta tramite catalogo), o se quest'ultimo aveva mostrato o illustrato un prodotto o modello differente da quello poi acquistato, i dieci giorni lavorativi decorrono dalla data di ricevimento del prodotto.- Se invece il venditore avesse fornito informazioni incomplete o inesatte sul diritto di recesso (vedi qui sotto “L'obbligo per il venditore di informare il consumatore sul diritto di recesso”), si puo' recedere entro sessanta giorni dal giorno di ricevimento del prodotto acquistato.Nessuna penale e' prevista a carico del consumatore per aver esercitato il recesso.

Restituzione del prodotto

Il bene deve essere restituito, a spese del consumatore, in normale stato di conservazione (ovvero, deve essere custodito e adoperato con cura) nella modalita' e nei tempi previsti dal contratto.Qualora sia stato effettuato un pagamento, il rimborso al consumatore deve avvenire gratuitamente entro 30 giorni dalla data in cui il venditore e' stato informato del recesso.Se il venditore non dovesse provvedere spontaneamente, conviene intimare il rimborso tramite una raccomandata A/R di messa in mora.

Attenzione:

non esiste il diritto di recesso per acquisti fatti con partita iva, per acquisti inferiori a 26 euro, e per servizi di cui si e' gia' usufruito.

ESCLUSIONI

Attenzione, queste regole non si applicano ai contratti relativi:

- alla costruzione, vendita, e locazione di beni immobili;- alla fornitura di prodotti alimentari o di uso corrente consegnati con scadenza regolare;- alle assicurazioni (*);- agli strumenti finanziari (*);- a servizi che sono gia' in erogazione.

Obbligo per il venditore di informare il consumatore sul diritto di recesso

Il nuovo codice del consumo impone al professionista di fornire al consumatore, per iscritto, il termine, la modalita’, e le condizioni per l’esercizio del diritto di recesso. Inoltre, sempre per iscritto, il professionista deve indicare le generalita’ (denominazione, sede, indirizzo) del soggetto verso cui si puo’ esercitare il diritto di recesso e a cui puo' essere restituito il prodotto. Tutto' cio' deve essere riportato direttamente sulla nota d'ordine, separatamente dalle altre clausole contrattuali, ed in caratteri tipografici uguali o superiori a quelli delle altre informazioni li' presenti. Per i venditori che non forniscono queste informazioni, o lo fanno solo parzialmente - di fatto ostacolando il diritto di recesso – sono previste sanzioni dai 516 ai 5165 euro.